di Walter Borsini
In breve
Le testimonianze della guerra ci vengono direttamente dal campo di battaglia, grazie al lavoro degli inviati speciali che ci raccontano cosa succede ogni giorno nello scenario di devastazione che l’ invasione russa ha prodotto in Ucraina.
Ci sono anche dei testimoni silenziosi, i bambini, che si trovano aggrediti dalla realtà, dal mondo che sembra rivoltarsi loro contro. Vivono nei rifugi, sotto le bombe, mentre nelle strade la gente vien uccisa e divampano gli incendi.
Nel salotti TV si parla molto di tutto questo, ma ,nella maggior parte dei casi, gli argomenti sono espressione delle opinioni, degli atteggiamenti emozionali delle persone, più che analisi partecipi e lucide dei fatti. Perché in Ucraina, con la guerra, la barbarie è di nuovo padrona del campo e come possiamo uscirne?. Ciò che si dice in TV spesso ci parla delle convinzioni, delle paure, dell’indole di chi parla, piuttosto che della durezza dei fatti, e degli scenari che possono aprire spiragli di luce.
Lo slancio di solidarietà verso chi subisce un sopruso, la attitudine a trasferire dentro di noi la sofferenza altrui, il disagio che ci induce la vista di chi soffre, fino, talvolta, a indurre reazioni di indifferenza o addirittura di diffidenza sono provate, quotidianamente da ognuno di noi, in un mix che appare inestricabile.
La nostra visione delle cose e le nostre idee sulla guerra derivano spesso da queste attitudini emotive.
Si tratta di esperienze che hanno la loro origine nei milioni di anni dell’ evoluzione naturale, che ci sono servite per destreggiarci tra amici e nemici, per difenderci, per sbarazzarci dei competitor. Diffidenza/indifferenza verso chi soffre o slancio solidaristico si modulano a vicenda. Integrandosi con altre funzioni significative hanno portato alla costruzione delle nostre civiltà, nelle quali la guerra appare ancora oggi pervasiva e inarrestabile, mentre allo stesso tempo si moltiplicano tuttavia le iniziative di solidarietà tra i popoli e l’ auspicio di risoluzioni “pacifiche” dei conflitti . La socialità umana è in continuo confronto con forze che generano diffidenza, distacco , indifferenza.
Le interazioni complesse tra slancio altruistico e diffidenza/indifferenza per la sofferenza degli altri non influenzano solo la nostra visione ( e le nostre opinioni ) sulla guerra, il nostro atteggiamento verso la guerra. Queste interazioni si integrano in altri contesti, come ad es il sentimento di appartenenza, l’ atteggiamento verso i migranti, e sono anche all’ origine, probabilmente in situazioni estreme, individuali, di fenomeni apparentemente incomprensibili come il sacrificare la propria vita per un ideale ritenuto socialmente significativo – libertà, patriottismo-, o all’ opposto il sacrificare la propria vita pur di poter uccidere gli altri (come succede nel caso del terrorista che sa di morire con la sua impresa; e come succede nel caso, seppure senza una causa “giustificativa”, dell’ uccisore seriale o dell’ atto esplosivo (il recente sterminio nelle scuole di una pacifica cittadina nel Texas).
Alcuni miti di tutti i tempi, come l’ eroe che usa le armi solo se costretto e solo per una giusta causa, indicano modelli e aspirazioni che gli esseri umani coltivano da sempre , indicano elaborazioni e integrazioni dei sentimenti di base di slancio solidaristico e indifferenza/diffidenza, che ancora funzionano nella nostra immaginazione
Le esperienze soggettive nei confronti degli altri, della loro sofferenza, dei contesti di guerra che ci sono riproposti in TV sono qualcosa che ha origini lontanissime nella evoluzione naturale dell’ essere umano e vengono continuamente rimaneggiate dalla storia, La creazione di sempre nuovi contesti significativi di solidarietà tra gli esseri umani non ha ancora (e non si vede quando) costruito le basi per un mondo senza la guerra e senza che possano emergere comportamenti di violenza geopolitica o criminale.
Non si può trasformare con un colpo di spugna ciò che siamo.
Se gli atteggiamenti che abbiamo descritto originano in esperienze che tutti possono fare, forse possiamo comprendere di più di ciò che ci accade d’intorno.
Non dimentichiamo infine che se la distanza/vicinanza agli altri è una dimensione, una funzione del nostro essere umani, che abbiamo ereditata dall’ evoluzione naturale e che la storia ha conservato, seppure trasformandola continuamente, tutto questo è anche funzione di strutture biologiche, che stiamo conoscendo sempre meglio, nel nostro corpo (il cuore si attiva prima del cervello dinanzi alla visione di una scena emozionante, come può essere quella di una scena di guerra), e ovviamente nei network nervosi e neuro-comportamentali.
Indice:
Introduzione
Salotti TV e la rappresentazione della guerra
Sdegno per il sopruso o realpolitik
Neurobiologia della guerra
Puoi scaricare il PDF completo dell’ articolo, oppure leggerlo di seguito.
Introduzione
Che cosa dire di queste mie ultime giornate con il Covid addosso e imprigionato in casa? Nel mondo, di cose ne sono successe. Guerra, crisi economica, pandemia e uccisioni di massa nelle scuole americane.
Non ho mai amato i film horror e mi sono preso una vacanza da questo genere dopo Shining. Ma in questi giorni mi accorgo di essere entrato, come Alice, dietro lo specchio, in un mondo reale prima , e immaginario dopo, che mette i brividi.
Deve essere – mi dico- l’ eccesso di televisione.
Sembra che riemergano e vogliano convivere momenti diversi della mia vita, pensieri del passato dimenticati e altri sul futuro non ancora ben definiti, ma lì che bussano alla porta. Letture di ieri e di oggi, e anche di domani… il mio lavoro, la neurologia, gli assassini , i ragazzi che sparano sui bambini, i russi nel Donbass, il cannibalismo tra i Neanderthal, le poesie d’ amore, i fumetti , gli eroi, l’ eucarestia: possibile che fili sottili di seta colleghino tutte queste cose e ce le facciano comprendere meglio? tutte queste cose hanno qualche risonanza dentro di noi. Siamo tanti individui distinti e unici, ma in una stessa storia e figli di una stessa evoluzione…Davvero una sola storia e una sola evoluzione?
Seguiamo con calma, i fili di seta che fluttuano nella mia immaginazione. Serviranno a conoscere un po’ meglio me stesso? serviranno a conoscere un po’ meglio Homo (e donna) sapiens? Non ne ho idea. Per quanto posso, sotto la pressione dell’ immaginazione, cercherò di far riferimento a conoscenze che hanno fondamenti solidi… ma il lettore è il giudice assoluto dei testi che legge.
Non posso fermarmi. Il viaggio è già cominciato.
Salotti TV : la rappresentazione della guerra
L’ offensiva sovietica in Donbass è in crescita e sta sfondando le linee ucraine. Alla TV, se si escludono gli inviati di guerra, tutti gli altri parlano come se parlassero di un gioco da salotto. Ecco una domanda intelligente: secondo te (la domanda è rivolta al corrispondente di guerra da Karkhiv, città che gli Ucraini hanno liberato dai Russi), la liberazione di Karkhiv è dovuta alla forza degli Ucraini, o al fatto che i Russi hanno deciso di ritirarsi? Ecco invece un esempio di risposta intelligente. In questo caso la risposta viene non da un cronista qualunque ma da una stella del giornalismo italiano. E’ certo, dice Marco Travaglio, che gli Ucraini non vorranno fare concessioni territoriali. Poi incalza: Fino a che ricevono grandi quantità di armi dall’ Occidente, non faranno concessioni e si ostineranno a resistere ai Russi, pagando un prezzo in vite umane politico enorme. Sulle parole di Travaglio, ho cambiato canale. Conosciamo tutti la sua faccia di bronzo, impassibile, quando sfodera la logica ferrea della necessità delle cose. Secondo questa logica, in un fatto si può sempre dividere il torto dalla ragione con un colpo di spada, se si hanno vista aguzza e mente fredda come ha lui. Ricordo che il mio tema di italiano alla maturità era dedicato al Manzoni, persona in cui lucidità mentale e compartecipazione emotiva si muovevano insieme. Il titolo del tema era una sua frase: il giusto e lo sbagliato sono intrecciati come un nodo e non possono essere disgiunti con un colpo di spada.
Travaglio insomma cerca sempre la soluzione più logica e la strada più economica (in termini di denaro pubblico e vite umane). Ad es. secondo lui (è una mia interpretazione) se un energumeno sta picchiando e trattenendo per un braccio un ragazzino, e tu ti trovi ad assistere per caso mentre passeggi, è più facile dire al ragazzino: basta, cedi, chiedi scusa o finirà male per te, piuttosto che far desistere l’ energumeno dalla sua furia bellicosa.
E’ vero, le metafore, come questa, colgono contesti , significati, non rappresentano tutte le dimensioni del reale, ma in questo non sono inferiori ai ragionamenti logici. Neppure questi colgono tutti i significati del reale, anzi spesso la logica ferrea , è ferrea proprio perché taglia con l’ accetta i fatti.
Noi non siamo là in Ucraina , dentro la guerra, quella raccontata dagli inviati speciali (e dalle inviate; vedo più spesso donne che uomini, inviate là sul campo di battaglia). Il loro lavoro, e i loro racconti cambieranno il futuro dell’ umanità, perché anche chi non è sul campo di battaglia potrà respirare l’ aria acre, e sentire la sofferenza, potrà vedere i corpi martoriati e le città distrutte, i civili messi in fila e uccisi, le granate contro i convogli umanitari.
E’ la guerra. Noi in Italia non siamo del tutto al sicuro, ma nemmeno sotto le bombe. Le nostre coscienze saranno cambiate per sempre dalla narrazione degli inviati speciali. Vorrei dilungarmi a scrivere di loro, citare i loro nomi, mettere insieme le immagini , i filmati, i loro racconti… Forse lo farò ma non adesso.
Sdegno per il sopruso o realpolitik?
In altre parole, solidarietà empatica o indifferenza/diffidenza verso chi soffre?
Chiunque di noi avrà fatto l’ esperienza di provare sdegno dinanzi ad un sopruso (nella vita reale o immaginaria, in una novella, in un film). Avrà sentito il cuore accelerare, prima ancora di essersi ben reso conto perché. Avrà sentito risonanza emotiva (la famosa empatia) tra se stesso e chi subisce un sopruso, specie se questi è un bambino o comunque una persona che è nel giusto. In qualche circostanza, nella vita reale, sarà capitato di istinto di prendere la parte di chi appare più debole o subisce una violenza ritenuta ingiusta. Quando ero giovane, capitava più spesso di ora di vedere giovani donne o bambini percossi per strada. la reazione d’ istinto era di aiutare, talvolta senza fare nessuna considerazione sulle possibilità reali di essere in grado di aiutare. Tipicamente, questi meccanismi scattano in situazioni assolutamente ordinarie, ad es. se riteniamo che nostro figlio piccolo, diciamo alle elementari, abbia subito un’ingiustizia a scuola. Meno facilmente lo ammetteremmo quando in gioco sono altri meccanismi, ad es. di diffidenza verso la sofferenza di qualcuno. Eppure credo che tutti noi abbiamo sperimentato anche altre situazioni emotive di questo tipo, ad es il desiderio di girarsi dall’ altra parte quando vediamo scene di sofferenza, bambini che soffrono la fame, persone che ci chiedono l’elemosina, esibendo le loro infermità e la loro sofferenza. Cosa è il fastidio che proviamo? Cosa vogliono da noi? Cosa possiamo fare noi? E’ una situazione emozionale che può capitare a chiunque, capita a chiunque , spesso.
Ne è un esempio, che tutti conoscono, la diffidenza verso i migranti. Questo punto è molto importante, ma non possiamo svilupparlo qui, ci porterebbe molto lontano. La diffidenza verso i migranti è fondata su diversi sentimenti che la persona (o la sola idea) del migrante evoca nella nostra immaginazione, ma tra tutti questi sentimenti il razzismo è il meno importante oggi a mio avviso. Molto più importante è il fatto che non lo conosciamo bene, che di fatto è un estraneo rispetto ai valori di appartenenza della comunità in cui arriva. O per lo meno non sappiamo se accetterà i valori della comunità in cui arriva. Non è l’ estraneità razziale che induce una diffidenza, ma l’ estraneità culturale, il sentimento che gli accettanti hanno della loro non – appartenenza. I migranti che arrivano in folla da dove vengono , perché scappano , cosa vogliono?
E’ ben riconosciuta dai sociologi l’ importanza dell’ appartenenza nel favorire o meno l’ integrazione tra le persone di una comunità. Il sentimento dell’ appartenenza ad una comunità è atavico, è stato essenziale per la sopravvivenza di sapiens fin dalla sua comparsa nella storia dell’ evoluzione e ha continuato a influenzare il destino di guerra e pace lungo tutta la storia dell’ uomo e fino ad oggi in Ucraina. Il sentimento dell’ appartenenza è incarnato nel nostro corpo, non è un’ acquisizione culturale astratta, che si impara a scuola. A scuola semmai la si rinforza inconsapevolmente assorbendo la cultura di una comunità da cui proveniamo. Il sentimento di appartenenza è tanto più forte quanto più le persone sono vicine tra loro, nella vita quotidiana, e condividono certezze e timori quotidiani. E come se non bastasse, il sentimento di indifferenza/diffidenza verso i migranti è anche una espressione del sentimento di indifferenza/diffidenza verso la sofferenza stessa, come dicevo più sopra e come riprenderemo a breve.
Vorrei ricordare che questi che abbiamo chiamati sentimenti sono disposizioni emotive delle persone. In quanto sentimenti, arrivano alla coscienza, ma in gran parte queste reattività emotive nascono in processi di interazione del nostro corpo con il mondo esterno, che sono preclusi alla soggettività, al lavoro della mente. Quindi per un verso possiamo chiamarli sentimenti (in un’ accezione comune e non scientifica del termine) , ma per un altro verso potremmo chiamarli funzioni biologiche del nostro organismo (il ruolo del sistema nervoso è essenziale , ma tutto il corpo è coinvolto in queste reazioni ).
Recentemente è stato pubblicato negli Stati Uniti uno studio che ha riportato nel cuore il centro delle emozioni. Questa è la lettura divulgativa che la TV ha fatto di una ricerca interessantissima, che ha documentato in termini di millisecondi di quando la reattività del cuore (accelerazione ad es.) precede la reattività del cervello (attivazione e arousal) alla visione di una scena in cui avviene un sopruso, o comunque dinanzi una scena significativa sul piano emozionale.
Ovviamente non è che nelle emozioni comandi il cuore. La ricerca conferma una cosa ben nota, che nella costruzione dell’ esperienza cosciente (ad es esperienza e consapevolezza di un’ emozione, di un sentimento o semplicemente del dolore dovuto ad aver calpestato una medusa sulla spiaggia estiva) viene rielaborato a livelli funzionali via via più complessi ciò che è già stato elaborato già prima a livelli di complessità inferiore.
Tutto questo avviene nel giro di frazioni di secondo, ed è un modo costitutivo e ben documentato di funzionare del nostro corpo (in questo testo , quando si dice corpo, ci si riferisce al corpo comprensivo delle sue strutture nervose, e non verrà mai usato il termine corpo come contrapposto a brain, cervello; sarebbe come parlare di un corpo decapitato). Insomma, la coscienza ci offre la consapevolezza di un’ emozione, di un drive emozionale che è già all’ opera in noi frazioni di secondo prima che noi ne abbiamo coscienza.
Quindi, per sintetizzare su questa digressione, abbiamo descritto i sentimenti di slancio, empatia verso chi è in difficoltà e subisce un sopruso, abbiamo descritto anche disposizioni emozionali diverse verso chi soffre, come l’ indifferenza e la diffidenza. Abbiamo detto che, nella misura in cui queste attitudini emozionali sono consce, possiamo anche parlare di sentimenti, ma queste disposizioni sono in gran parte inconsce e si attivano ancor prima che ce ne rendiamo conto. L’ ultima cosa che voglio dire a proposito di queste disposizioni emotive è questa : non ci sono uomini che hanno o l’ una o l’ altra delle disposizioni descritte, ma invariabilmente tutti le abbiamo entrambe.
A questo punto sorgono delle domande:
- come possiamo dire che tutti noi possiamo sperimentare sia la solidarietà che la indifferenza/diffidenza?
- come interagiscono tra loro queste disposizioni? qual è insomma il risultato finale di questa interazione, in ognuno di noi
- E infine, perché il risultato finale di questa interazione può essere diverso, anche nello stesso individuo, a seconda del contesto (ad es, se siamo con i nostri familiari o con estranei).
Per rispondere alla domanda 1, è sufficiente un minimo di introspezione. Facciamoci attenzione e ben presto percepiremo all’opera dentro di noi ognuna delle due disposizioni emotive che abbiamo descritto, sentiremo lo slancio solidaristico verso chi subisce un’ ingiustizia e/o la indifferenza/diffidenza verso altre persone che soffrono. Il trucco per aumentare la nostra consapevolezza di queste reazioni emotive è di non curarsi del contesto , ovvero di prestare attenzione a questi sentimenti, in qualsiasi contesto, anche il più banale della nostra vita. Non c’è bisogno che assistiamo alla scena di nostra figlio brutalizzato da un sadico , per sentire sorgere dentro di noi lo slancio solidaristico. Potremmo ad es. vedere questa scena in un film, oppure potremmo leggere le vicende di David Copperfield, oppure stiamo guardando gli occhioni sgranati di un bimbo divorato dalle mosche nella pubblicità di una ONG, alla TV. Oppure più semplicemente abbiamo fatto un sogno, in cui stavamo per veder precipitare da una rupe una persona che odiamo, o magari stiamo guardando la serie TV sui serial killer.
Comprendere che questi sentimenti ( e quindi le strutture corporee inconsce, che già li sostengono ancor prima che arrivino alla coscienza) sono dentro ognuno di noi è un passo grande . Ci fa capire ad es. il ruolo dell’ immaginario nel prendere dimestichezza con questi sentimenti. L’ immaginario (le nostre fantasie, come rielaboriamo ciò che vediamo, i racconti che ascoltiamo, le fiabe lette ai piccolissimi) ci permette di vedere all’ opera questi processi che sono in noi, seguirli , conoscerli, conviverci, e infine liberarcene. E’ l’effetto catartico dello scenario dell’ immaginazione (attivato spontaneamente o ascoltando un racconto, o leggendo un fumetto , o guardando un reportage fotografico). Questo effetto spiega la passione delle persone per i docufilm ad es sulla vita dei serial killer, o sul grande interesse per le ricostruzioni di excursus storici su sciagure e guerre. Catartico tuttavia non va inteso in senso di correzione morale, di eliminazione del male, o del rischio di comportamenti aggressivi. Catartico vuol dire molto meno e molto di più allo stesso tempo, vuol dire che io posso sperimentare nella dimensione immaginaria, una condizione, uno stato di me stesso e le conseguenze dei miei sentimenti e delle mie azioni, anche sugli altri, in un contesto sicuro. La mia immaginazione, la sala TV , il teatro sono contesti sicuri. Immaginazione vuol dire: sperimentare al sicuro variabili e possibilità anche rischiose, vuol dire confidenza con se stessi e con il mondo esterno.
Non possiamo dilungarci su questo adesso, ma su questa funzione immaginaria, si è evoluta la capacità di prevedere le conseguenze delle proprie azioni da parte degli esseri umani, che è la vera base dell’ etica e anche di altre discipline, se così si può dire, come la politica.
Per venire ora alla seconda e alla terza domanda, riassumiamo brevemente ciò di cui stiamo parlando
Le persone si commuovono e si sentono partecipi se vedono un debole, un bambino o un uomo, subire ingiustamente angherie. C’è un filone della letteratura dell’ 800 che si basa su questo sentimento e ha fatto vendere al grande pubblico i romanzi che raccontavano le storie degli orfani, le angherie a cui erano sottoposti e il loro riscatto (come Huckleberry Finn o David Copperfield). Ho sottolineato i romanzi dell’ 800, perché oggi le storie degli orfani sono ancora potenti e affascinanti nell’immaginario collettivo, ma sulla figura dell’orfano sta crescendo un immaginario iper-individualista: l’ orfano non ha bisogno di nessuno, anzi sarà padrone della sua vita, cresciuto ad una scuola di durezza e poco incline alla compassione svilupperà invece dei super-poteri.
Ma tornando all’ orfano stile 800, che resiste alle angherie, ma nello stesso tempo cerca affetto e protezione, ci sono fiabe che fanno leva su questi sentimenti, come quella preferita da mia figlia, la fiaba di Cenerentola. Non importa essere stati orfani allevati in istituto per amare Cenerentola. Ci sono fumetti (Tex Willer) che vendono da 70 anni raccontando la stessa storia, che una persone fa giustizia laddove ci sono persone che subiscono prepotenze o che sono condannate ingiustamente.
Le persone, le stesse persone di cui sopra inclini in certi contesti allo slancio solidaristico, possono fare esperienze emotive diverse, sentire indifferenza o diffidenza verso chi soffre o verso immagini e scene che ricordano loro chi soffre. Può capitare anche che alcuni si irritino se vedono altri provare forme di compassione per i deboli. La pietà per i deboli è vista in questo caso come un segno di debolezza essa stessa, una specie di trappola in cui gli uomini prudenti e realistici non devono cadere. Lo vediamo quando qualcuno in politica contrasta attivamente ogni comportamento o strategia solidaristica verso i deboli, gli ultimi, i migranti , e infine verso gli ucraini, come fa involontariamente il Marco Travaglio citato all’ inizio di questo testo.
Vorrei subito precisare due cose.
La prima è che ogni individuo è capace di sperimentare entrambe le condizioni emotive che abbiamo descritto, e quindi non si deve a priori dividere le persone in due categorie. Nel singolo caso, ad un livello molto più complesso di analisi, a cui accenneremo tra poco potremo vedere, se, come e in che contesto una delle disposizioni emotive prevarichi sull’ altra. Nella popolazione generale, come si dice in epidemiologia, questi sentimenti sono semplicemente compresenti in ogni soggetto.
Ora, se queste due disposizioni emotive essenziali, quella solidaristica, e quella di indifferenza/diffidenza verso chi soffre ingiustizia, sono così diffuse e in realtà disponibili in ogni essere umano, una ragione ci sarà. Vedremo con sorpresa che nessuna delle due è in sé giusta o sbagliata. Quello che conta sono soltanto le conseguenze di quei sentimenti nella vita degli individui e delle loro comunità.
Ma andiamo in ordine.
Forse il lettore, di quelli che piange facilmente, quando i bimbi sono dispregiati, troverà difficile ammettere che ci siano strategie in cui si cerca di far leva sulla pietà per raggiungere ben altri scopi. La persona aiutata potrebbe in effetti, in un secondo tempo, ribellarsi contro di te, come la vipera in seno della fiaba, che chiaramente si riferisce a situazioni di questo genere, sperimentate fin dagli albori del genere umano. La persona che hai aiutato è un diverso, l’hai raccolto, l’hai allevato, ma resta diversa da te, anche se tu l’hai salvata da morte sicura. La Guerra di Piero ci racconta una meravigliosa storia su una sfumatura di questi sentimenti, una piccola nota stonata, un’esitazione nell’ uccidere subito il tuo nemico, caro Piero, non ti verrà perdonata. E Cesare ucciso da Bruto, ci racconta un’ altra di queste storie della vipera in seno.
Può sembrare difficile oggi cadere in queste trappole, oggi ci sono tanti scambi tra i popoli, tra le realtà, tra le persone, ma molto più burocratici, molto più garantiti (se così si può dire; so che tutto è relativo) che in passato : pensiamo all’ atteggiamento delle persone (cittadini, magistrati , affaristi ) verso l’ adozione internazionale. Ma queste chiavi di lettura, queste storie così forti e così ineliminabili dalle nostra coscienza provengono da altri contesti, contesti di centinaia di miglia di anni fa, quando il trovatello, poteva essere il figlio strappato o abbandonato da un altro clan di cacciatori – raccoglitori nelle savane dell’ Africa o nelle steppe dell’ Est Europa. Quante incognite portava nel nuovo clan quel trovatello inerme!.
Noi quindi, in questi due atteggiamenti, vediamo all’opera due dimensioni dell’ essere umano, di qualsiasi essere umano. Non ci sono gli indifferenti e i generosi, tutti siamo un mix di queste due disposizioni. Questo, ripeto, parlando in generale degli esseri umani. E’ così che si deve cercare di capire una persona. Un individuo è un mix di questi sentimenti, ma come si sono evoluti in quell’ individuo? Uno dei due ha prevalso, almeno in certi contesti? E’ un ragionamento schematico, ma nella sua semplicità può servire per migliorare la nostra conoscenza di dinamiche e perturbazioni cui assistiamo tutti i giorni.
Appare a tutti ovvio che una persona di solito poco affettiva, lo può diventare in contesti particolari, ad es verso i propri i figli, o comunque in certi contesti che per lui sono molto significativi. Forse è un po’ letteraria l’ immagine del boss che piange quando riceve i regali di Natale dai nipoti.
Credo che a questo punto dobbiamo fare uno dei passi fondamentali.
Comprendere che è l’ evoluzione naturale di milioni di anni, che ha dotato gli esseri viventi delle strutture emozionali – comportamentali, di cui abbiamo parlato finora. Nella evoluzione naturale , entrambe quelle disposizioni emotive erano necessarie. Lo slancio solidaristico verso l’ umano azzannato da una tigre dai denti a sciabola doveva confrontarsi con la capacità di di saper valutare le possibilità reali di poter aiutare il compagno.
Niente sarebbe stato peggio per il gruppo che perdere allo stesso tempo due membri importanti. Lo slancio solidaristico era tenuto a freno dalla capacità di ignorare la persona sofferente, per fare ciò che era meglio per il gruppo.
Bene. Siamo al cuore delle domande 2 e 3. Come interagiscono le due disposizioni emotive di cui abbiamo appena parlato e di cui ci ha fornito l’ evoluzione? Nessuno di noi è uguale ad un altro da questo punto di vista, vista la grande capacità di differenziazione individuale, che gli esseri umani hanno manifestato e che poggia in sostanza su due cose:
- la capacità di differenziazione permessa dal sistema nervoso di cui ci ha dotato l’ evoluzione .
- l’evoluzione storico-culturale (essa stessa creazione degli esseri umani, e quindi almeno in parte basata sulla creatività del sistema nervoso umano)
Un modello semplice di interazione tra due disposizioni emotive potrebbe esserle metterle ai due estremi di una linea. Ad un estremo c’è la disposizione solidaristica, all’ altro estremo la condizioni di indifferenza/diffidenza.
Ogni persona si colloca in un punto qualsiasi di mezzo tra i due estremi. Facile a capirsi, ma sicuramente una ricostruzione molto approssimata. Sorvolerò sul fatto che mi si può dire che indifferenza non è uguale a diffidenza. In effetti, quella che ho proposto sopra, pur funzionando abbastanza bene (le persone possono essere collocate su una scala tra quei due estremi), è un modello iper-semplificato
Modelli un pò più complicati considerano che noi non siamo punti su una linea, ma piuttosto strutture ad almeno quattro dimensioni. Siamo ad almeno 4 dimensioni perché il nostro corpo ( e le sue strutture nervose, i networks che sostengono le nostre emozioni , i nostri comportamenti e la nostra consapevolezza) hanno le tre dimensioni dello spazio e la quarta dimensione, che è quella del tempo. In ogni istante che viviamo siamo diversi da quello che eravamo nell’ istante precedente, e le strutture attive nel nostro sistema nervoso possono avere una arrangiamento spaziale che si modifica nelle tre dimensioni dello spazio.
Possiamo cercare di avvicinarci alla comprensione di quello che accade nel singolo individuo, ricorrendo a dei modelli. Questi modelli sono necessari sia nel contesto delle scienze osservazionali/sistemiche (comportamento/ vissuti) ma anche nel contesto di quelle sperimentali /biologiche (networks, organismi e funzioni di reti cellulari). Ci aspettiamo che ci sia correlazione tra i modelli delle scienze osservazionali /sistemiche e quelle sperimentali/ biologiche. Per questo, parlando di modelli non farò più distinzione tra questi due livelli. Per ognuno di questi livelli di studio occorrerà un modello adeguato, ma in entrambi i casi i modelli devono correlare con il funzionamento biologico e relazionale dell’ essere umano.
Né le strutture nervose né i comportamenti stanno su un piano cartesiano. Per stare su un piano cartesiano dovrebbero essere a due variabili, o in altre parole, il ricercatore dovrebbe aver messo messo a 0 tutte le altre variabili, eccetto le due in studio! Oggi ci si riesce ad es nella biologia dei sistemi nervosi semplici, e anche nello studio di nuovi farmaci con azioni molecolari definite.
Ma non tutto ciò che cerchiamo di capire intorno a noi è laboratorio, e gli esseri umani si rivelano piuttosto complessi… Possiamo immaginare le interazioni tra i network nervosi nello spazio tridimensionale. Le loro interazioni sono funzione della disposizione sterica, tridimensionale delle cellule che li compongono, e degli stati che queste assumono. Ad es. lo stato di due network interagenti potrebbe non essere una funzione lineare e prevedibile delle attivazioni nei vari punti del network (come succederebbe alle elezioni politiche proporzionali), ma potrebbe essere funzione non lineare di cosa succede in punti chiave del network, delle attivazioni reciproche tra i due network in tali punti chiave, con passaggi bruschi di stato, e anche risposte casuali, imprevedibili.
Approfondire questi aspetti è compito delle neuroscienze. Per ora le nozioni forti, solide, che provengono dalle neuroscienze, parlano di strutture nervose ben codificate, osservabili e descrivibili in dettaglio, che abbiamo ereditato dall’ evoluzione, che si ricostruiscono nella crescita individuale, si attivano o si disattivano in funzione del tempo, e infine sembrano sperimentare funzionamenti sempre più aperti e capaci di creare contesti (co-evoluzioni) significative con il mondo esterno.
La distinzione in neuroscienze di circuiti chiusi e aperti è ben nota. I circuiti non sono solo interni al sistema nervoso. Se percuoto un ginocchio col mio martelletto, ho uno scatto del ginocchio. Ma se non percuoto il ginocchio con il mio martelletto il ginocchio non scatta. L’ arco riflesso è un circuito chiuso, la cui risposta è prevedibile. Ciò nonostante anche questo circuito viene chiuso da un intervento esterno, il martelletto che lo percuote. Il curioso scatto del ginocchio fa ridere il paziente colto di sorpresa. Il paziente non sa che quel circuito riflesso è una base fondamentale di tutti gli aggiustamenti del nostro corpo e del nostro sistema nervoso, che ci permettono d stare in piedi e di camminare! Tutto questo è stato messo a punto dall’ evoluzione naturale attraverso la cosidetta filogenesi, l’ evoluzione delle varie specie, e l’ ontogenesi (la maturazione individuale)
Ci sono circuiti aperti, dicevo. Se incontrate qualcuno per strada e lo salutate , può darsi che vi risponda con un mugugno e tiri dritto. In questo caso, abbiamo avuto di nuovo un circuito chiuso. Useremo il termine un’ interazione chiusa, senza dinamiche di sviluppo. Ma se quel signore che avete salutato, vi rivolge un bel sorriso e vi dice : Ehi! Come va? che fai? può darsi che il dialogo continui e si sviluppi in direzione inattesa. Magari era una bella signora…
Bene. Siamo al cuore delle domande 2 e 3. Come interagiscono le due disposizioni emotive di cui abbiamo appena parlato e di cui ci ha fornito l’ evoluzione? Nessuno di noi è uguale ad un altro da questo punto di vista, vista la grande capacità di differenziazione individuale, che gli esseri umani hanno manifestato e che poggia in sostanza su due cose:
- la capacità di differenziazione permessa dal sistema nervoso di cui ci ha dotato l’ evoluzione .
- l’evoluzione storico-culturale (essa stessa creazione degli esseri umani, e quindi almeno in parte basata sulla creatività del sistema nervoso umano)
Un modello semplice di interazione tra due disposizioni emotive potrebbe esserle metterle ai due estremi di una linea. Ad un estremo c’è la disposizione solidaristica, all’ altro estremo la condizioni di indifferenza/diffidenza.
Ogni persona si colloca in un punto qualsiasi di mezzo tra i due estremi. Facile a capirsi, ma sicuramente una ricostruzione molto approssimata. Sorvolerò sul fatto che mi si può dire che indifferenza non è uguale a diffidenza. In effetti, quella che ho proposto sopra, pur funzionando abbastanza bene (le persone possono essere collocate su una scala tra quei due estremi), è un modello iper-semplificato
Modelli un pò più complicati considerano che noi non siamo punti su una linea, ma piuttosto strutture ad almeno quattro dimensioni. Siamo ad almeno 4 dimensioni perché il nostro corpo ( e le sue strutture nervose, i networks che sostengono le nostre emozioni , i nostri comportamenti e la nostra consapevolezza) hanno le tre dimensioni dello spazio e la quarta dimensione, che è quella del tempo. In ogni istante che viviamo siamo diversi da quello che eravamo nell’ istante precedente, e le strutture attive nel nostro sistema nervoso possono avere una arrangiamento spaziale che si modifica nelle tre dimensioni dello spazio.
Possiamo cercare di avvicinarci alla comprensione di quello che accade nel singolo individuo, ricorrendo a dei modelli. Questi modelli sono necessari sia nel contesto delle scienze osservazionali/sistemiche (comportamento/ vissuti) ma anche nel contesto di quelle sperimentali /biologiche (networks, organismi e funzioni di reti cellulari). Ci aspettiamo che ci sia correlazione tra i modelli delle scienze osservazionali /sistemiche e quelle sperimentali/ biologiche. Per questo, parlando di modelli non farò più distinzione tra questi due livelli. Per ognuno di questi livelli di studio occorrerà un modello adeguato, ma in entrambi i casi i modelli devono correlare con il funzionamento biologico e relazionale dell’ essere umano.
Né le strutture nervose né i comportamenti stanno su un piano cartesiano. Per stare su un piano cartesiano dovrebbero essere a due variabili, o in altre parole, il ricercatore dovrebbe aver messo messo a 0 tutte le altre variabili, eccetto le due in studio! Oggi ci si riesce ad es nella biologia dei sistemi nervosi semplici, e anche nello studio di nuovi farmaci con azioni molecolari definite.
Ma non tutto ciò che cerchiamo di capire intorno a noi è laboratorio, e gli esseri umani si rivelano piuttosto complessi… Possiamo immaginare le interazioni tra i network nervosi nello spazio tridimensionale. Le loro interazioni sono funzione della disposizione sterica, tridimensionale delle cellule che li compongono, e degli stati che queste assumono. Ad es. lo stato di due network interagenti potrebbe non essere una funzione lineare e prevedibile delle attivazioni nei vari punti del network (come succederebbe alle elezioni politiche proporzionali), ma potrebbe essere funzione non lineare di cosa succede in punti chiave del network, delle attivazioni reciproche tra i due network in tali punti chiave, con passaggi bruschi di stato, e anche risposte casuali, imprevedibili.
Approfondire questi aspetti è compito delle neuroscienze. Per ora le nozioni forti, solide, che provengono dalle neuroscienze, parlano di strutture nervose ben codificate, osservabili e descrivibili in dettaglio, che abbiamo ereditato dall’ evoluzione, che si ricostruiscono nella crescita individuale, si attivano o si disattivano in funzione del tempo, e infine sembrano sperimentare funzionamenti sempre più aperti e capaci di creare contesti (co-evoluzioni) significative con il mondo esterno.
La distinzione in neuroscienze di circuiti chiusi e aperti è ben nota. I circuiti non sono solo interni al sistema nervoso. Se percuoto un ginocchio col mio martelletto, ho uno scatto del ginocchio. Ma se non percuoto il ginocchio con il mio martelletto il ginocchio non scatta. L’ arco riflesso è un circuito chiuso, la cui risposta è prevedibile. Ciò nonostante anche questo circuito viene chiuso da un intervento esterno, il martelletto che lo percuote. Il curioso scatto del ginocchio fa ridere il paziente colto di sorpresa. Il paziente non sa che quel circuito riflesso è una base fondamentale di tutti gli aggiustamenti del nostro corpo e del nostro sistema nervoso, che ci permettono d stare in piedi e di camminare! Tutto questo è stato messo a punto dall’ evoluzione naturale attraverso la cosidetta filogenesi, l’ evoluzione delle varie specie, e l’ ontogenesi (la maturazione individuale)
Ci sono circuiti aperti, dicevo. Se incontrate qualcuno per strada e lo salutate , può darsi che vi risponda con un mugugno e tiri dritto. In questo caso, abbiamo avuto di nuovo un circuito chiuso. Useremo il termine un’ interazione chiusa, senza dinamiche di sviluppo. Ma se quel signore che avete salutato, vi rivolge un bel sorriso e vi dice : Ehi! Come va? che fai? può darsi che il dialogo continui e si sviluppi in direzione inattesa. Magari era una bella signora…
Chiamiamo circuiti aperti quei circuiti, che sono aperti al mondo esterno, all’altro, ma la cui risposta non è stata rigidamente definita dall’ evoluzione. Sono così molte delle nostre relazioni. Un bambino che nasce sa (ha una certezza inconscia) che incontrerà un suo simile che si prenderà cura di lui (per questo riconosce il volto umano fin dal primo giorno e sorride alla madre). Inoltre, prestissimo imparerà a destreggiarsi con la gravità (come è difficile tener su la testa sul collo!). Tuttavia, incontrerà molte cose per cui l’ evoluzione non l’ha preparato a sufficienza, come la lingua materna e sopratutto a leggere e a scrivere. Ci sono network aperti nel suo sistema nervoso che dovranno affrontare ciò che l’ evoluzione non ha previsto in dettaglio, contesti in cui i circuiti interattivi e relazionali non sono del tutto prevedibili. Sono situazioni fortemente individualizzate, non rigidamente contesto – dipendenti ma piuttosto contesto – creative, o propositive . Questi temi erano il focus del pensiero di un pediatra e neuropsichiatra infantile fiorentino, Adriano Milani Comparetti (Ital J Neurol Sci. 1986 Apr;Suppl 5:95-100. Fetal and Neonatal Origins of Being a Person and Belonging to the World PMID: 3759412).
Bene, ma tornando alle nostre disposizioni emotive altruistiche o diffidenti?
Le dimensioni che caratterizzano ogni singolo individuo sono non solo le 4 che abbiamo detto, l’interazione spaziale e nel tempo, tra i network, ma anche il fatto che questi specifici network si legano a altri network e mettono la loro specificità in qualche modo al servizio di tutta la storia individuale, delle altre funzioni, degli altri contesti di funzionamento ( affetti , scopi, lucidità, funzioni cognitive): non sarà però un asservirsi rigido, sarà piuttosto uno scambio, un do ut des, una qualche forma di meglio o peggio riuscita integrazione.
I contesti storico – culturali che la persona incontra possono esercitare una pressione selettiva sui network, influenzandone la crescita, l’ uso o il disuso fino alla morte. Così alla fine i contesti significativi influenzano l’esito delle interazioni spazio-temporali tra i network nervosi.
L’ individuo, il suo cervello, la sua storia, come la sua materia, ingloba dunque il fattore tempo. In biologia, questo è intuitivo più che in fisica. Lo spazio – tempo è a sua volta il risultato delle interazioni, segnalazioni e trasformazioni indotte dai geni, dalle cellule nelle dinamiche epigenetiche, dall’organismo nella sua interezza e da tutti i contesti ambientali, significativi e non, in cui l’ individuo entra e interagisce.
Noi assistiamo negli esseri umani agli sviluppi e alle trasformazioni di questi nuclei primari preformati ed evolutivi, come lo slancio altruistico immediato e l’ indifferenza/diffidenza verso chi soffre. Osserviamo progressivi intrecci e spostamenti, di questi nuclei primari in altri contesti significativi (contesti culturali, fasi della vita). Gli psicologi hanno usato molti termini per descrivere questi spostamenti e integrazioni progressive, come modulazione, creazione, sublimazione, repressione e rimozione.
La modulazione, come un dialogo, tra altruismo e diffidenza avviene in ognuno di noi e non solo nei salotti TV. Questo dialogo ci mostra l’ evoluzione naturale ancora al lavoro e la sua interazione con la storia personale di ognuno di noi.
Le strutture open sono reattive a contesti, che cambiano da persona a persona o nel tempo nella stessa persona. Le strutture nervose open si chiudono solo se c’è un contesto significativo. Contesti significativi potrebbero metter d’accordo persone con inclinazioni molto diverse dal punto di vista della disposizione emotiva altruistica o indifferente/diffidente.
I circuiti aperti non sono autodeterminati, ma neanche eterodeterminati. Un tempo si parlava di autopoiesi e coevoluzione di sistemi autopioietici . Un circuito aperto si completa e diventa efficace solo in un contesto significativo. Un contesto non significativo vanificherebbe quel circuito aperto.
L’ ultimo passaggio da capire, e l’ultimo elemento di variabilità nella modulazione delle disposizioni emozionali primarie, è che le strutture nervose e il contesto non sono due destini segnati che vanno per forza ad incontrarsi. Possono incontrarsi oppure no. Non è però solo un problema di caso. Le strutture aperte hanno fame di contesti nuovi, perché appunto sono aperte, sono diverse da quelle che si sono già chiuse nei contesti conosciuti, come le esperienze già fatte o i comportamenti acquisiti nella crescita. Esse cercano i contesti nuovi, esse sono votate alla creazione. E’ sempre quell’occasione, quell’analogia , quell’ intuizione che fa chiudere il circuito intorno ad un contesto significativo. Questa si chiama appunto creatività. La creazione è il chiudersi di un circuito aperto, insaziabile, insoddisfatto, nel contesto giusto, che ha cercato senza conoscere, come si cerca l’ amore …
In questo articolo, sono in primo piano le dinamiche della diffidenza/indifferenza alla sofferenza degli altri, ma come abbiamo visto queste sono intimamente intrecciate cone quelle della solidarietà empatica, del sentirsi nei panni dell’ altro, del godere del suo godimento. Abbiamo anche accennato a come tutto questo sia fortemente attivo in certi contesti significativi , come le relazioni familiari. Queste dinamiche sono capaci di segnare il destino delle persone, il loro successo nel supportare gli altri, talvolta a spese della propria vita. Questo argomento troppo grande per parlarne qui; richiederebbe un approfondimento a parte, ma qualche accenno ad alcune esperienze mi sembra utile, diciamo così per aiutare la nostra immaginazione a muoversi a 360° nella sfera dei sentimenti su cui si fondano le relazioni umane.
Luca Attanasio, ambasciatore italiano in Congo, noto per le sue iniziative appassionate di promozione e di sostegno all’ infanzia nei paesi africani è stato ucciso anche l’autista del convoglio Onu su cui viaggiavano. Il diplomatico era senza scorta perché la strada era considerata sicura. Si stava recando a visitare il programma di distribuzione di cibo nelle scuole del World Food Programme.
Ci sono poi tanti missionari religiosi e i medici impegnati nei programmi di Emergency o di altre associazioni di solidarietà umana. Vorrei ricordare anche un missionario italiano, Roberto Maestrelli, che da decenni lavora tra gli umili, tra i senza terra e senza casa, e ha finora sempre rifiutato proposte dei suoi superiori di lasciare la strada, i disagi e i pericoli della sua vita per restare vicino ai suoi ragazzi.
Contesti significativi dunque possono metter d’accordo le disposizioni emotive altruistiche e quelle di diffidenza verso la sofferenza. Potrebbero ad es. metter d’accordo chi vuole mandare armi e chi no in Ucraina. Credo che sia davvero un bell’esercizio cercare di costruire un contesto significativo che possa permettere di porre fine alle sofferenze degli ucraini ( e dei soldati russi stessi) causati dall’ invasione russa di quel paese.
Il tema dell’ empatia e del suo significato per la vita sociale è ripreso da Giacomo Rizzolatti in un recente libro, In te mi specchio, scritto con Antonio Gnoli , ed. Rizzoli
Neurobiologia della guerra
Se cerco di entrare di più nelle cose che vedo, di migliorare la mia conoscenza delle cose, dei fatti, resto consapevole che raggiungerò comunque una conoscenza parziale, salvo in momenti fortunati e felici in cui si raggiunge una conoscenza profonda, che ci rivela qualcosa di chiaro, netto, indiscutibile, e ci fa procedere oltre, per anni ancora, forse per secoli.
A questo punto, come ci aiuta tutto ciò di cui abbiamo parlato per comprendere la neurobiologia della guerra?
Si può parlare di determinanti geo-politici della guerra, si può parlare di guerra e civiltà. Abbiamo appena visto con l’ invasione dell’ Ucraina da parte della Russia, che il contesto di civiltà europeo non ha potuto fare da deterrente ad una decisione militare, basata su equilibri di potenza, sul disprezzo dell’ autodeterminazione dei popoli, insomma su tutto quanto credevamo di aver conquistato e maturato in Europa, dopo l’ esperienza rovinosa del nazismo e della seconda guerra mondiale. Per la verità l’ invasione russa dell’ Ucraina da un punto di vista geo-politico non è dissimile dall’ invasione americana dell’ Iraq (la seconda invasione) o dalla guerra di Libia, che portò all’ uccisione di Gheddafi, anche se In quei casi c’erano stati in passato dei fatti terroristici o aggressivi contro gli americani o loro alleati, che potevano in qualche maniera essere ricondotti ai libici o agli iracheni. Per un’ analisi di questo punto, vedi Limes 4/2022 Perché Putin non crede più nell’Occidente di Giuseppe Sacco.
I determinati geopolitici anche oggi sono gli stessi per cui popolazioni preistoriche e proto-storiche si sono annientate , probabilmente in stretto rapporto con l’ innovazione negli armamenti, a loro volta in stretto rapporto con la competizione per le risorse.
Soldati e sacerdoti hanno accompagnato tutte le forme di civiltà. Il soldato è una figura essenziale in tutte le mitologie collettive. Una figura nata per uccidere, per difendere, per aggredire. Una figura che sa usare le armi. C’è un eroe mitico, che attraversa tutte le culture ed è quella del soldato che sa dosare la forza. Che non ricorre mai volentieri alle armi. Nella guerra di Troia era Ettore. Lo farà solo se costretto mostrando anche grande padronanza nell’ uso delle armi e nello stesso tempo, come tutti i soldati, il coraggio consapevole del rischio. Ovviamente conosciamo dalla leggenda e dalla storia l’ esistenza di soldati capaci di ben altri atteggiamenti, come la vessazione, il godimento nell’ uccidere, i sacrifici umani, specie a carico delle vittime dei popoli sconfitti.
Ci sono molti comportamenti che abbiamo difficoltà a comprendere e per questo li scotomizziamo. Ad es. la morte per martirio. Eppure, attraversa tutta la storia. Noi li consideriamo santi, eroi, terroristi. Questi morti per martirio, per una causa , possono essere persone di pace, patriotti, politici, persone che muoiono per la libertà, per difendere la propria nazione, o, molto più comprensibilmente nella nostra cultura individualista, la famiglia. Altri vengono dall’ esperienza del soldato, della guerra, e questi sono i kamikaze e i terroristi. Essi sono disposti a morire pur di poter uccidere, provare l’ estasi del martirio o dell’ orgia stragista (pensiamo all’ attentato alle Torri Gemelle del 2001).
Dobbiamo pensare che ci possa del piacere, della liberazione orgiastica nell’uccidere. Tanto e tale piacere che si è disposti a morire pur di poter uccidere. Consideriamo anche le stragi nelle scuole americane. In quasi tutti i casi, il killer si uccide o viene ucciso . Sa che finirà così. Ciò nonostante, in un giorno di sole un giovane diciottenne, in Texas, parte da casa propria, spara in faccia alla nonna che lo sta rimproverando, e raggiunge una scuola armato di due fucili mitragliatori, che scarica contro 19 bambini e due insegnanti…Dunque in questi casi , che non capiamo, cosa succede? Siamo nelle condizioni estreme dell’interazione tra processi, strutture che l’ evoluzione ci ha dato. Il dialogo tra l’ altruismo e la diffidenza/indifferenza verso l’ altro di cui la evoluzione ci ha fornito, in questo caso hanno avuto esiti anti – sociali. Nel caso del giovane texano questa distorsione evolutiva era così forte che non aveva bisogna di nessun rinforzo culturale , contestuale. Odio razziale, ingiustizie subite , rivolta . Nulla sembra sia all’opera . Era un ragazzo solitario che ha pianificato tutto e non ha voluto aspettare che qualche giorno tra la disponibilità delle armi (al compimento dei 18 anni) e la decisione di uccidere 19 bambini. Le strutture nervose costruite in lui dai suoi network di altruismo/diffidenza hanno prodotto questo. Lo hanno prodotto in termini assoluti, non hanno avuto bisogno di alcun contesto facilitante, come il contesto del gesto terroristico ad es., una ideologia antagonistica o razziale. Alcuni esperti ritengono che queste persone hanno in disprezzo anche se stessi, e per questo non temono, ma addirittura cercano la morte. Non c’è alcun contesto umano in cui potrebbero vivere.
La vicenda di Uvalde merita un’altra considerazione. L’ opinione pubblica americana da decenni cerca di regolamentare la vendita di armi, per non mettere con troppa facilità nelle mani degli odiatori armi da guerra capaci di fare una strage in pochi minuti. Un battaglia che incontra l’opposizione assai dura della National Rifle Association, cioè dell’ Associazione dei detentori di armi, che rivendicano un diritto sancito dall’ articolo 2 della costituzione e portano a sostegno della loro azione il fatto che in alcuni casi i cittadini armati hanno ucciso gli assassini, impedendo che si verificasse una strage.
E’ una battaglia assolutamente condivisibile quella di regolare la vendita delle armi. C’è da meravigliarsi solo che nessun presidente americano finora ci sia riuscito.
Ed è però surreale anche questa ricostruzione dei fatti, che ignora del tutto la personalità dell’ assassino. Come se a sparare fossero stati i fucili mitragliatori da soli.
Alcuni serial killer sembra abbiano degli aspetti in comune con il soldato violento e vessatorio (che è tale nel contesto militare) o con l’ uccisore assoluto , come il ragazzo di Uvalde. Anche in loro gli esperti descrivono una specie di distacco, indifferenza rispetto alle loro vittime, spesso una gioia nel completo dominio sull’ altro e nella sofferenza dell’ altro. Anche qui, l’ evoluzione naturale, e la storia personale della persona, hanno creato dei network solo in parte controllabili, che devono manifestarsi periodicamente, come in una seconda vita rispetto a quella ordinaria, che procede ad imitazione di quella della comunità a cui il serial killer ( spesso insospettabile) appartiene. In un docufilm su Sky, la serie Lettere da un serial killer, il protagonista è in carcere vivo e vegeto, e intervistato da una psicologa manifesta chiaramente il suo interesse a che si conosca la sua storia, racconta i suoi efferati pluri-omicidi con più distacco di quanto ne mostrerebbe un semplice narratore estraneo ai fatti.
C’è una varietà grande di personalità, di interazioni tra le strutture nervose, con quelle dell’ altruismo che sembrano rimaste schiacciate da quelle dell’indifferenza/diffidenza. Il piacere deriva dal non riconoscere sentimenti o dignità umana alla vittima. La vittima non arriva mai a turbare il comportamento del serial killer. Anzi, quanto più la vittima urla e si dimena, mentre il killer la violenta o la strangola lentamente, tanto più lui, il vero protagonista, è lucido ed eccitato. Se non sente la palpitante vita dell’altro, non può godere della sua sofferenza, che è ciò che lo eccita. Il killer non riesce ad entrare nei panni della sua vittima e a soffrire con lui, scopre così quanto gli è superiore, quanto lui è forte rispetto alle tentazioni frustranti e condizionanti della compassione. Il serial killer può vedere se stesso come un superuomo.
Siamo in situazioni estreme di interazione tra le strutture della solidarietà e della diffidenza. Ovviamente siamo anche lungo gli assi dell’ amore e dell’ odio.
Potremmo dire che il soldato è un eroe dell’ odio?. Assolutamente no. Lo sappiamo benissimo. Nella letteratura e nei film, l’eroe che sa sparare e uccidere, ma non lo fa, o è estremamente misurato in questo, è una figura di assoluto fascino. Una figura che raccoglie un fortissimo consenso sociale rispetto invece a colui che non ha alcuno scrupolo e che gode nell’ uccidere.
Bisogna dire che anche i grandi odiatori e assassini hanno un certo fascino, come dimostra il gran numero di documentari e film sulla loro vita. Tuttavia abbiamo già spiegato che il fascino che queste figure esercitano in salotto, cioè sullo spettatore al sicuro, provano solo che in tutti noi esistono gli strumenti minimi per odiare e uccidere, magari solo in certi contesti, come la difesa rispetto a un’ aggressione, o anche soltanto in salotto al sicuro, mentre guardiamo un film (funzione catartica). Il film che guardiamo tocca e risveglia qualcosa che centinaia di migliaia di anni hanno lasciato entro di noi, ma possiamo stare tranquilli. Siamo ampiamente padroni della situazione, almeno nel contesto sicuro del salotto. L’ immaginazione è il teatro dove si può sperimentare tutto senza pericolo per gli altri né per noi.
Il soldato quindi non è un eroe dell’odio. Tuttavia osserviamo che i regimi autoritari amano le uniformi e militarizzano le istituzioni. La capacità del soldato di uccidere viene valorizzata e posta al servizio del regime… Ma non è solo la capacità di uccidere, che vuole essere rappresentata dal tiranno. Il soldato esibito dai regimi autoritari ricorda a tutti, ai propri cittadini come a tutto il mondo, che il regime autoritario non si muove secondo i principi dell’altruismo e della compassione o della valorizzazione dell’ individuo, ma piuttosto secondo gli schemi dell’ indifferenza ai sentimenti individuali e della diffidenza verso gli atteggiamenti non complianti dei sudditi
Non voglio fare esempi. Chiunque li può trovare negli ultimi 120 anni di storia, senza andare troppo in là, alle guerre dell’ antichità o all’ invasione europea dell’ America Latina, dove i soldati di eserciti senza regole che non l’ arbitrio del comandante asservivano regioni e popoli…
Forse, se guardiamo da un prospettiva non di qualche anno, ma di diverse centinaia di migliaia di anni, siamo in grado di capire molti comportamenti umani con cui dobbiamo ancora convivere e che ci troviamo spesso a subire, come nella recente aggressione russa all’ Ucraina. Se non capiamo è perché siamo stanchi e giriamo il capo dall’ altra parte.
Estasi primaria, estasi ancestrale… l’ uccisione dei bambini del nemico è possibile che sia stata una pratica presso Homo Antecessor, una specie che ha vissuto in Spagna circa 800.000 anni fa, e che ha preceduto sia Neanderthal che sapiens. Molti ricercatori ritengono che essi praticassero il cannibalismo, e i resti indicano che in alcune circostanze si sarebbero nutriti di uomini e di bambini, di giovani umani. I propri? quelli di clan estranei o ostili e annientati? non lo sappiamo. (Storica National Geographic 159, 2022 in Atapuerca i primi europei). Sappiamo anche che alcuni serial killer si nutrono della carne delle loro vittime.
Ripeto, la conoscenza vera è quella profonda dall’ interno dei fatti. Ma un filo rosso sembra di riconoscerlo, e si basa su alcune semplici nozioni, quello dell’ evoluzione naturale del corpo umano e del suo cervello, e della successiva creazione della storia e della cultura . Questo filo rosso è forse immaginario? Tuttavia, sembra così onnipresente che potrebbe anche aiutarci a non smarrire la strada, come il filo di Arianna nel labirinto.
Si può togliere di mano ai soldati la guerra in Ucraina?.
Putin è stato molto astuto e si è fatto forza del suo controllo sul Consiglio di sicurezza alle Nazioni Unite.
Non sono emersi finora organismi internazionali o paesi che siano stati in grado di bloccare le ostilità garantendo da un lato la indipendenza dell’Ucraina ancora libera e dall’altro un destino sotto protezione internazionale al Donbass e agli accessi al mar Nero. L’ integrità dell’Ucraina, con la restituzione del Donbas oppure il passaggio di questo alla Russia potrebbe essere conseguenza futura di un processo che richiederà generazioni, e che dovrebbe avvenire sotto controllo internazionale. Quello che vuole e sta per fare la Russia adesso è creare l’ annessione del Donbass come uno stato di fatto manu militari , cioè dopo averlo raso al suolo. Hanno fatto un deserto e l’ hanno chiamato pace.
L’ aggressività di Putin, in spregio delle sofferenze inferte al suo esercito e al suo popolo , prima ancora che al popolo ucraino, non può essere circoscritta da alcuno. Dunque, abbiamo la prova che viviamo in un ordine mondiale, del tutto incapace di sanare i conflitti. E’ l’immagine della guerra mondiale a pezzi di Francesco o anche quello che appare dal libro di un inviato speciale che ha conosciuto tutte le guerre in atto sul globo (Guerra infinita di Lorenzo Cremonesi, Solferino, 2022).
Non sarà in alcun modo possibile una pace. L’ obiettivo potrebbe essere un cessate il fuoco, se Putin venisse costretto a riconoscere che il destino del Donbass si decide in seguito, in un processo controllato. Ma l’ uomo che entra dai grandi portoni dorati, spalancati dai due soldati che si marciano come automi, non ha incertezze. Egli è un soldato. E oltre ogni compassione la sola logica che intende è quella dei rapporti di forza. Non è il primo in Russia. Stalin fece di peggio.
Il problema è semplice: c’è una forza al mondo, anche multinazionale, anche detentrice di armi nucleari, che sia capace di controllare e tenere a bada Putin? probabilmente no. Essa dovrebbe anche dare garanzie di tenere a bada l’ Occidente e la Nato.
In particolare non c’è se la posta in gioco è solo la indipendenza dell’ Ucraina, un lusso per la maggioranza della popolazione mondiale (Cina, Africa). Forse, ci potrebbe essere questa forza multinazionale di interposizione se la stabilità del mondo (grano, crisi alimentare, crisi economica, energia) venisse davvero messa in crisi dalla guerra in Ucraina. C’è una visione, che al di là delle dinamiche di scontro in campo, possa riproporre un diverso ordine significativo ed utile per tutti a livello mondiale?
31 maggio 2022