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Nel cielo di Kiev – II

illustrazione che mostra un pescecane (la Russia) fronteggiato da molti altri pesci (il fronte dei paesi europei e occidentali)
L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia si scontra con l’Europa e gli ultimi 70 anni della sua storia, oltre che con l’ intero schieramento occidentale. Da Digital Art Facebook

Ogni giorno, dal 24 febbraio, vediamo le immagini della guerra in Ucraina e delle sue conseguenze. L’ Ucraina è invasa dall’ esercito russo, attraverso precise direttrici.  Una direttrice punta  alla presa di possesso delle terre e delle città che affacciano sul Mar Nero e in particolare di Odessa, e al ricongiungimento di queste regioni a quelle, dove già agiscono movimenti separatisti  filo-russi, di Donec’k e Luhans’k e alla Crimea, già annessa alla Russia  senza colpo ferire con il referendum del 16 marzo 2014, dopo essere stata a sua volta invasa da truppe russe, senza insegne di riconoscimento. Secondo una seconda direttrice, da nord e da nord est, le truppe russe  puntano direttamente su Kiev e Kharkiv, provenendo sia dalla Russia che dalla Bielorussia. 

Ogni giorno assistiamo anche alla decisa e convinta resistenza degli Ucraini. Mentre gli uomini combattono metro su metro difendendo le loro città e il loro territorio, donne, bambini e disabili, cercano di lasciare il terreno di guerra, emigrando verso gli stati confinanti dell’Europa come la Polonia e la Romania.  Dalle aree sotto assedio diretto, comunque, andarsene è molto difficile anche per le donne e i bambini, e il tentativo di aprire corridoi umanitari è fallito più volte. I russi lasciano aperte le strade alla popolazione civile solo verso la Bielorussia o altre aree sotto il loro controllo. Come dire, dalla padella nella brace.

Questo è ciò che vediamo, ma non si può isolare chirurgicamente ciò che vediamo dal contesto in cui accade. Prima di tutto perché, nel contesto, ci siamo tutti noi europei. E’ stato motivo di stupore, per noi europei, svegliarsi nel freddo mattino del 24 febbraio, con una guerra in casa, dopo oltre 70 anni dalla fine II guerra mondiale. Eravamo finora convinti di avere costruito una pace stabile, che poggiava sulla pietra angolare del rispetto della integrità territoriale degli stati e dell’ autodeterminazione dei popoli.  Massacrata da guerre da almeno 2 millenni, l’ Europa ha operato per costruire una pace, la Pax Europea,  che doveva caratterizzare una nuova conquista della civiltà, basata sulla  convivenza dei popoli e sul dialogo, come metodo per dirimere le  tensioni,, E basata anche su un nuovo immaginario collettivo. Insomma, la pace intesa non soltanto come fortunosa assenza di guerra, come è stato in passato, ma come un nuovo costrutto sociale, un nuovo capitolo nella storia della civiltà.  In fondo, la pace non è una legge di natura, è una costruzione, una scelta della civiltà. Si possono regolare le dinamiche tra i popoli in maniera pacifica, con il dialogo, la democrazia? O si deve inseguire sempre la mitologia guerriera della conquista, che conosciamo bene fin dalla preistoria? Si deve passare alla storia come chi ha costruito la pace o chi ha imposto il suo potere con la guerra? Questi due scenari sono sempre entrambi plausibili. In fondo, occupazioni e invasioni erano già avvenute diverse volte in Europa nel periodo della guerra fredda, successivamente alla fine della seconda guerra mondiale. Tutti si ricordano dell’ Ungheria del 1956 e della Cecoslovacchia del 1969, invasa dalle truppe del patto di Varsavia. Ma l’ invasione dell’ Ucraina del 24 febbraio scorso è stato  il knock out definitivo che ha messo a tappeto gli ultimi 70 anni di storia dell’ Europa e del suo impegno nella costruzione di una pace speciale.  Yuval Noah Harari, storico e filosofo, appassionato alla storia dell’ umanità, ha scritto per l’ occasione un articolo di ampio respiro su The Economist. Queste le sue parole:  “Decline of war didn’t result from a divine miracle or from a change in the laws of nature. It resulted from humans making better choices. It is arguably the greatest political and moral achievement of modern civilisation. Unfortunately, the fact that it stems from human choice also means that it is reversible”   Attraverso tutta la storia dell’ umanità, pace e guerra si affrontano e si intersecano, ma molto spesso la pace è solo il tempo fortunato che intercorre tra due guerre, non una vera e propria costruzione sociale, non una vera e propria conquista di civiltà. Questo può accadere solo se  nel tempo di pace ci sono strumenti di regolazione dei conflitti tra i popoli e si genera un forte immaginario collettivo che compenetri le coscienze sul valore della pace stessa. Dopo la II guerra mondiale, si è intravisto nella Conferenza delle Nazioni Unite un sicuro baluardo di stabilità e di regolazione  pacifica dei conflitti. Ma abbiamo appena visto che  è sufficiente che uno dei cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza della stessa Conferenza  sia in disaccordo per neutralizzarne ogni azione.  Ed è quello che la Russia ha appena fatto. Le decisioni  di pace e guerra (e anche quelle di bene e male) non sono come la gravità e le forze naturali, sono creazioni dell’ uomo e delle società, mitologie, narrazioni, fantasie  che affondano la loro origine nella evoluzione umana, e, pur mutando continuamente aspetto, continuano a essere prese lungo tutta la storia e la cultura dell’ umanità.  

In effetti, anche attualmente ci sono guerre dovunque nel mondo e in particolare lungo le linee di frattura e di attrito tra imperi e civiltà. Nel suo libro Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale, del 1996, lo studioso Samuel P. Huntington affermava «La mia ipotesi è che la fonte di conflitto fondamentale nel nuovo mondo in cui viviamo non sarà sostanzialmente né ideologica né economica. Le grandi divisioni dell’umanità e la fonte di conflitto principale saranno legate alla cultura. Gli Stati nazionali rimarranno gli attori principali nel contesto mondiale, ma i conflitti più importanti avranno luogo tra nazioni e gruppi di diverse civiltà. Lo scontro di civiltà dominerà la politica mondiale. Le linee di faglia tra le civiltà saranno le linee sulle quali si consumeranno le battaglie del futuro.» Se apriamo bene gli occhi e prestiamo attenzione ai focolai di guerra attivi nel mondo, quello che ci sorprende di più è la sorpresa, e il conseguente shock, dell’ Europa dinanzi all’ invasione russa della Ucraina

Comunque sia, l’ Europa è in gioco in questo scenario di guerra. Non può trarsene fuori. Lo scenario apertosi il 24 febbraio la include. Nell’ immaginario europeo in particolare, ma anche in una dimensione più vasta, direi planetaria, l’invasione brutale di uno stato indipendente è inaccettabile; non è un evento che sta nella natura delle cose, o addirittura negli auspici di Dio,  come erano immaginate in passato le guerre di costruzione degli stati e di religione (ad esempio quelle che dilaniavano l’ Europa durante tutto il XVII secolo), e come sono raccontate anche oggi  le guerre in tante regioni del Medio Oriente, dell’Asia e dell’ Africa. Dall’ Afganistan alla Palestina all’ Iraq non c’è solo la frattura tra Ovest ed Est, ma ci sono anche altre linee di frattura, legate a storie nazionali, ideologie religiose, esigenze di controllo geopolitico sul territorio, aperture di vie commerciali e disponibilità di materie prime. Non ci interessa adesso deviare dall’idea principale di questo articolo, e cioè che lo scenario dell’ invasione russa dell’ Ucraina coinvolge in maniera immediata e diretta l’idea di Pax Europea, e lo sforzo di 70 anni di storia dell’ Europa debole, burocratica, sognatrice, visionaria, di costruire una pace durevole, desiderata dai popoli ed efficace nel regolarne la convivenza.     

Questo è il contesto in cui si comprendono le manifestazioni che osserviamo in tutto il mondo (anche in Russia), i cortei per la pace e l’ integrità dell’ Ucraina, il rifiuto della guerra come risoluzione dei conflitti, la brutalità della mitologia dell’ impero e della conquista. E tuttavia appare subito un paradosso. Come possono, i popoli che vogliono costruire la pace, farlo se sono aggrediti dai conquistatori che puntano tutto sulla guerra? Bisogna arrestare l’aggressore, ma ogni mossa può portare ad un conflitto globale, con armi nucleari. Dunque, la reazione dell’Europa (non solo l’ ingresso diretto in guerra, ma anche altre azioni più settoriali come la creazione di una no fly zone nei cieli di Kiev) potrebbe avere costi pesantissimi, e portare a lacerazioni insanabili per ambedue le parti in conflitto e per il mondo intero. Anche se la storia della II guerra mondiale ci insegna che talvolta può essere necessario reagire e per tempo.   

Il problema adesso è: si può fermare l’aggressore senza arrivare alla terza guerra mondiale? In realtà, questa di cui siamo testimoni, che ha l’ epicentro in Ucraina, non è una guerra locale. Non lo è per la partecipazione e la reazione sentita del mondo intero, ma non lo è sopratutto perché ci sono molti attori già in gioco, nel gioco della guerra. I paesi dell’Europa e ancora gli altri paesi dell’Occidente, come il Regno Unito e gli USA  combattono con energia una guerra per procura,  armando la resistenza degli ucraini, una guerra apparentemente guerreggiata al tavolo, quella delle sanzioni economiche (per non parlare di quella informatica, di cui sappiamo davvero poco) e, infine, una guerra nelle strategie di comunicazione e nella narrazione degli eventi. Tutto questo è fatto per sostegno all’Ucraina, certo, ma anche per scardinare il potere di Putin in Russia e favorire un suo rovesciamento, o almeno per indebolire la sua leadership e portarlo eventualmente ad una trattativa in cui egli abbia non il coltello dalla parte del manico, ma un coltello puntato ai fianchi. Ma come non rendersi conto di cosa si rischia, anche su questa strada “asettica”, della reazione controllata e non guerreggiata in maniera diretta? Si rischia il bagno d sangue in Ucraina, prima di tutto. Qualcosa del genere è già accaduto per esempio in Siria quando gli occidentali hanno cercato di destabilizzare Assad senza riuscirci, pagando e fornendo di armi gli insorti siriani, con il risultato così di mandarli al macello da parte di Assad e del suo alleato russo. Le sanzioni, inoltre, danneggiano il motore economico della prosperità di una nazione, ma su chi ricadano i loro  effetti è una questione di tempo.  Vista l’ interdipendenza mondiale dei commerci e della crescita economica, alla fine le sanzioni consumano anche chi le emette. Come accade in molte guerre, può accadere che entrambi i contendenti finiscano per essere molto più poveri e malridotti alla fine del conflitto. Non sempre ci sono ori e vasti panorami da aggiungere ai propri possedimenti. Qualche volta l’eredità della guerra  è fatta solo di rovine e della memoria dei massacri. Le sanzioni sono emesse dall’Ovest nella speranza che Putin cada,  si indebolisca anche internamente, in Russia, prima che gli effetti negativi delle sanzioni stesse ghermiscano anche l’ economia e la prosperità dell’ impero occidentale e dell’ Europa stessa. L’ Europa è in guerra con la Russia, quindi. E la terza guerra mondiale è già cominciata.

C’è anche da considerare un altro aspetto. Bisogna stare bene attenti, nel tentativo di minare le basi del potere di Putin in Russia, di non confondere quello che è l’establishment autoritario  russo con il popolo russo, che è davvero l’ultima cosa che serve. Mi sento rabbrividire quando  vedo che si cancellano programma artistici, concerti o altro, perché di autori russi o interpretati da artisti russi, così come quando si escludono i singoli atleti da una competizione sportiva , perché russi.  Questo, di non vedere il nemico nel popolo russo, che tra l’ altro è molto attivo per quello che ne sappiamo anche nella contestazione del suo presidente e delle sue azioni di guerra,  è un punto assolutamente centrale della strategia. Per ogni azione contro il tiranno e il suo potere autoritario, si dovrebbe cercare di avere almeno un’altra iniziativa a sostegno di qualche forma di collaborazione e  che comunichi il rispetto dell’ Europa e degli Ucraini stessi nei confronti  della popolazione russa. L’ occidente non è contro il popolo e la cultura russa, ma è contro il regime autoritario che soggioga la Russia  stessa e vuole ricostruire l’ impero russo al posto dell’ impero sovietico, senza esitare nell’ intraprendere azioni di guerra. 

Questo scenario è talmente terribile, che molti in Europa, sostengono che l’ Ucraina dovrebbe arrendersi alla Russia. Per evitare il bagno di sangue e chiudere sul nascere lo scontro mondiale. Questa posizione, che pretende tra l’altro di dire all’ Ucraina cosa è meglio per lei, mi sembra ancora più ipocrita della guerra per procura di cui parlavamo prima.  La storia ci dirà quale sarà il destino dell’Ucraina, e quali saranno le conseguenze delle decisioni frenetiche di questi giorni, e che sicuramente evolveranno e muteranno nel tempo. Alcuni ritengono diversamente che l’ Unione Europea, protagonista non dichiarato ma indubbio di questa guerra, dovrebbe fare ancora di più di quanto stia facendo, non solo sul versante del sostegno militare e dell’ aiuto ai profughi, ma sopratutto sul piano del sostegno politico e ideale. La guerra dichiarata dalla Russia all’Ucraina, è una dichiarazione di guerra nei confronti della Unione Europea intera. Come tale questa dovrebbe presentarsi unita dinanzi all’ aggressione di Putin. Fronteggiando così Putin, potrebbe minacciare l’ingresso diretto in guerra se non si aprisse un tavolo di trattative, basato sulla ricerca di una soluzione diplomatica effettiva. In realtà, l’ Unione Europea sta muovendosi in questa direzione, seppure in maniera non ancora  così evidente per l’ opinione pubblica. Emanuel Macron  (attualmente alla Presidenza del Consiglio dell’ Unione Europea) ha contatti continui con Putin.  Ci sono incontri frenetici tra Olaf Scholz, Boris Johnson, Macron, Ursula Von der Leyen e Joe Biden. Tutto ciò sembra indicare la volontà dell’ Unione Europea di giocare un ruolo non di secondo piano nel conflitto russo-ucraino, ma di protagonista, per il momento orientata alla ricerca di una soluzione diplomatica, mentre al contempo sostiene la resistenza ucraina e cerca di indebolire sostanzialmente Putin in casa sua, con le sanzioni economiche.

Molte volte i protagonisti di questa storia si sono seduti intorno ad un tavolo negli anni passati. La foto è del 2019
Molte volte i protagonisti di questa storia si sono seduti intorno ad un tavolo negli anni passati. La foto mostra il presidente dell’ Ucraina Zelensky, il cancelliere tedesco Merkel, il presidente francese Macron and Putin a Parigi il 9 dicembre 2019 nel “Normandy Format”che aveva lo scopo di por fine alla guerra nel Donbass. Fonte Wikipedia

Ma esiste davvero una soluzione diplomatica? Nessuno lo sa. Verosimilmente no. Tuttavia un Putin indebolito ed una resistenza forte degli ucraini (con connesso sacrifico di vite umane) potrebbe portare tutti a più saggi consigli e cercare di percorrere quella strada che non si è saputo o voluto percorrere dal 2014 ( e anche da prima) a oggi.  Si potrebbe allora trovare un punto di intesa nel riconoscimento  prima di tutto che l’ integrità territoriale e l’ indipendenza politica  dell’Ucraina non è in discussione e che l’ Ucraina non può essere espropriata con la guerra. D’altro canto, tuttavia, si potrebbe ascoltare con attenzione e buona volontà le condizioni poste dai Russi per la fine della guerra, condizioni che al momento non conosciamo con certezza. Verremmo così a sapere se sono o no sufficienti ,per la cessazione dell’ aggressione, la collocazione neutrale dell’ Ucraina nel conflitto tra blocchi, la sorveglianza internazionale delle sue centrali nucleari, la risoluzione di conflitti tra popolazioni ucraine e russe o russofile, in determinate aree del paese e infine (o in principio) il riconoscimento o meno dell’ annessione alla Russia della Crimea. Oggi, un’ agenzia di stampa riporta un‘apertura alla trattativa su Donbas e Crimea da parte di Volodymyr Zelens’kyj (Zelensky), dal 20 maggio 2019 Presidente dell’Ucraina. Nei giorni scorsi, anche Purtin citava tra le condizioni delle trattative il riconoscimento dell’ annessione della Crimea e di altre regioni di interesse  russo che controllano l’accesso al Mar Nero, oltre, come dice lui, alla denazificazione del paese (vale a dire la testa di Zelenski). Insomma lo spazio per una trattativa esiste, ma non possiamo evitare di porci delle domande: perché non ci siamo mossi in questo spazio negoziale prima, prima che i russi dessero il via a quella che loro, e solo loro, chiamano una operazione militare speciale, e che noi chiamiamo guerra? Come è possibile che si inizi una guerra per fermarsi poi ad un accordo che poteva essere trovato anche senza la guerra, ovviamente garantendo l’ autodeterminazione dele popolazioni e non per violenza imposta dalla logica della conquista e dell’ impero?   Al punto in cui siamo arrivati, probabilmente un eventuale accordo negoziale dovrà premiare un vincitore.

Se c’è una guerra, tuttavia ci sono trattative. Con i nemici si parla, con gli amiici si festeggia. Le trattative non vanno mai interrotte, ma dinanzi al cinismo del potere non dobbiamo distogliere l’attenzione dal fatto che le trattative possono essere ingannevoli, per gettare fumo nell’ occhi dell’ opinione pubblica e degli avversari, mentre continuano senza tregua le azioni di guerra.

Per quanto riguarda l’ adesione della Ucraina alla UE, chiesta da Zelenski, potrebbe essere un’altra mossa che pone l’ Unione Europea direttamente di fronte all’ aggressore russo, seppure in una guerra più diplomatica che guerreggiata. Valgono ovviamente tutte le considerazioni precedenti relative al rischio di escalation della guerra. L’annessione dell’Ucraina alla UE, ritenuta finora non appropriata dall’ UE stessa, proprio per la mancanza di sufficienti garanzie di democrazia e trasparenza all’interno della società ucraina, potrebbe avere un forte significato politico, se presa anche solo a carattere emergenziale e transitorio, nel contesto della guerra in corso. Anche in questo caso il rischio di un allargamento della guerra aumenterebbe, e potrebbe essere presa solo a fronte della volontà di contrastare Putin ad ogni costo, sulla strada della diplomazia certo, ma anche su quella militare. Sarebbe un passo ulteriore rispetto ai movimenti diplomatici e alle azioni di guerra non guerreggiata che abbiamo già descritte e che sono state avviate dagli europei finora. Bisogna però considerare che questo ultimo passaggio, con l’ Europa e l’ Occidente schierati compatti e determinati a sostegno dell’ Ucraina, non è stato ancora compiuto, sia per comprensibile prudenza, sia per tante divisioni che sono all’ interno della comunità europea stessa, e che sono materializzate nella recente uscita del Regno Unito dall’ UE, come anche dalla forte e disomogenea dipendenza dell’Europa dal gas russo. Gli stati europei agiscono sul piano politico ed economico in un mix piuttosto variabile tra iniziative in ordine sparso dei singoli stati e iniziative all’interno delle Istituzioni Europee. Insomma, l’annessione anche emergenziale dell’ Ucraina alla UE non sembra ad oggi praticabile per imprimere una svolta in qualche direzione al conflitto

Da anni ci sono attriti lungo la linea del confine tra Europa e Russia.  L’idea di un’area neutra tra l’EST e l’OVEST, tra l’Europa e la Russia era presente da tempo, e in particolare dopo la caduta del muro di Berlino il 9 novembre del 1989. Questa area doveva comprendere tra gli altri stati, l’Ucraina e la Bielorussia. Ci sono accordi che riguardano questi paesi. Per motivi di sicurezza  complessiva della linea di contatto tra Europa e Russia è ragionevole qualche precauzione a garanzia di non aggressione reciproca. Ma appunto, qualche garanzia, la neutralizzazione per aggressione armata e invasione diretta. Non ci sarebbe, io credo, nulla di scandaloso, in un processo di costruzione della pace, che prevede gradualità ed una strategia pacifica di risoluzione dei conflitti, qualche limitazione nelle scelte di alcuni paesi (per gli armamenti o le alleanze), ma non certo a tal punto da finire invasi in caso di discordia. La costruzione della pace efficace e stabile richiede intese tra diversi interessi, strategie condivise di manifestazione delle volontà popolari, come referendum, ad es. per tutelare e affermare i diritti di minoranze o maggioranze linguistiche in comunità locali e così via. Ma ovviamente la costruzione di queste forme di pace condivisa e basata su garanzie reciproche non appartiene  alle strategie imperialiste dei conquistatori, siano essi i cattolicissimi spagnoli che invasero l’America meridionale nel XVI secolo, gli americani degli Stati Uniti di America in Iraq o in Vietnam, Putin e la sua Russia imperiale oggi in Ucraina.

La guerra è tra i due blocchi, da un lato l’imperialismo russo, dall’altro il blocco occidentale, l’ imperialismo euro-americano e inglese. Questo è un altro punto che non si può trascurare. La guerra non è tra Russia e Ucraina. Se così fosse, l’ Ucraina sarebbe condannata nel migliore dei casi ad una resistenza guerreggiata di lungo tempo e di gran sacrificio di vite umane.  Le linea di frattura tra i blocchi generano guerre perché i leader dei blocchi ragionano in termini di conquista, aggressione e difesa dall’ aggressione basata sulle armi e sulla guerra.  Secondo questa logica, la costruzione di una pace duratura e efficace nel regolare la convivenza dei popoli non è un obiettivo, non è una strada da percorrere, perché la pace potrà esistere solo sotto la protezione delle armi, o peggio ancora, perché come diceva Tacito la pace è un deserto post-bellico (“hanno fatto un deserto e l’ hanno chiamato pace”). 

Quanto le linee di frattura tra i blocchi siano pericolose, ce lo insegna il proliferare di guerre di questo tipo nel mondo  (ci sono altri blocchi e attriti, oltre quello di cui parliamo ora). Il rafforzamento interno e l’ autonomia del singolo blocco (fino all’autarchia) o del singolo paese è una garanzia di sicurezza e di indipendenza da condizionamenti esterni, ma può diventare anche un limite agli scambi globali, dei commerci e della cultura, che sono una dimensione irrinunciabile  dei nostri tempi. Il rafforzamento interno è favorito dalla lingua comune, dalla cultura comune ma anche dalle infrastrutture disponibili. Se le sanzioni si protraessero a lungo, potrebbero avere, tra le conseguenze negative, anche quella di  aver inferto ferite insanabili agli scambi commerciali e culturali tra i paesi. Un effetto negativo di questa guerra, un costo delle azioni di guerra  vere e proprie, ma anche delle sanzioni economiche, che sono state messe in atto nell’ intento condivisibile di sostenere la lotta degli ucraini e di indebolire Putin in Russia. Si accentuerebbero, in questa prospettiva che si deve cercare di evitare ad ogni costo, ancora di più le fratture geopolitiche e la separazione infrastrutturale tra i due blocchi (internet, digitalizzazione, scambi commerciali, turistici, culturali). 

Lo scenario intanto si allarga e coinvolge altre potenze come la Cina e Israele, che si stanno candidando per un ruolo di mediazione. Anche papa Francesco dà subito l’esempio e già allo scoppio della guerra si reca all’ ambasciata russa. Non chiama l’ ambasciatore in Vaticano. Si muove lui stesso. La situazione è critica, gravissima, anche sul piano morale. Il dialogo è l’unica chance. Con tutti. Prima di tutto con l’ aggressore.  Prima che sia troppo tardi.

Non sono pochi quelli che sostengono che questo conflitto ha trovato l’ Europa impreparata e l’ha fatta svegliare di soprassalto dal suo sogno di un pace, garantita dalle buone intenzioni e dai grandi principi sono alla base della  creazione della UE stessa. Questi grandi principi  hanno creato davvero una cultura continentale di pace interna, seppure in una convivenza di paesi  ancora molto articolata e soggetta a diffidenze reciproche.  Un’Europa più forte e capace di decidere, con un unico governo  e capacità di difesa avrebbe potuto dissuadere Putin dall’ invasione dell’ Ucraina, in particolare se l’ Ucraina fosse stata membro UE?. Queste domande sono piuttosto inutili oggi. Possono avere un senso per il futuro. Ma oggi queste domande non tengono conto della realtà, l’ Europa non è una potenza militare che conta e l’ Ucraina non è membro della UE. E’ anche per questo che Scholz ha deciso di dare il via ad ingenti investimenti in campo militare in Germania.

In un dipinto di Giuseppe Diotti, 1845, è rappresentata Antigone imprigionata e portata via dai soldati del tiranno
In un dipinto di Giuseppe Diotti, 1845, è rappresentata Antigone imprigionata e portata via dai soldati. Antigone è condannata per aver avere seppellito il corpo del fratello ucciso in guerra dal tiranno Creonte. Fonte wikipedia

Nel conflitto tra il potere dell’aggressione e della forza bruta e quello basato sulla costruzione della pace duratura, capace di regolare in conflitti e che rappresenta una grande conquista di civiltà, vediamo che questo tipo di pace stenta ancora a manifestarsi nella storia dell’ umanità. Vediamo che le campagne e i fiumi si tingono di rosso, e folle di giovani donne e bambini  si ammassano lungo le strade della fuga forzata, mentre le mura delle città esplodono e i carri armati marciano sobbalzando sui cadaveri stritolati.  La solidarietà, e anche la pietà (perchè vergognarsi?), verso i profughi e le vittime dell’ aggressione si manifestano in tante forme, sostegno, cibo, medicinali, coperte e accoglienza, lunghe file di autobus gialli, missili che solcano il cielo e riempiono gli incubi di chi ha lasciato la propria casa.  Antigone solo quello aveva in mente, dare sepoltura al corpo del fratello, che il tiranno pretendeva invece di lasciare esposto sul campo di battaglia perché tutti sapessero quale sarebbe stata la fine di chi si opponeva al suo potere. Non importa cosa è successo prima. E’ il disprezzo verso le vittime, che suscita allo stesso tempo la pietà e l’ orgoglio di Antigone. I corpi sul terreno, chi soffre, fugge o muore, costretto dalla violenza dell’invasore, ha una sua dignità. Antigone difende questa dignità, difende la legge che non sta dalla parte di nessun contendente, il diritto e la dignità di chi subisce la violenza e il dispregio. Antigone viene rinchiusa in una caverna dal tiranno e troppo tardi capiranno, gli uomini, la sua forza d’ animo e il significato del suo gesto. Quando lo capiranno Antigone è già morta. Antigone è la pietra su cui si può costruire la pace, la dignità delle vittime delle guerre di aggressione.


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